Marisa Martínez Pérsico en italiano

Presentamos cinco poemas de El cielo entre paréntesis (Valparaíso España, 2017) de Marisa Martínez Pérsico traducidos por los participantes en la sexta edición del Curso de posgrado en Traducción Literaria para el Sector Editorial ofrecido por la Università di Napoli L’Orientale y el Instituto Cervantes de Nápoles. Este curso, dictado por el docente y traductor Marco Ottaiano, cuenta con un comité científico integrado por los profesores Augusto Guarino y Paola Gorla, de la citada universidad. Además de estudiar contenidos de historia de la traducción, elementos de teoría o las fases del proceso editorial, los asistentes participan en laboratorios de traducción de narrativa y lírica, clásica y contemporánea, escrita en lengua española. En lo que concierne a la poesía, durante el ciclo 2017 también han traducido textos de la uruguaya Cristina Peri Rossi y de las españolas Luisa Castro y Esther Morillas.

 

 

 

DUNAV SAVA

 

Passano i pini azzurri di Belgrado.

Dal suo ultimo inverno,

attraverso le fronde di un’altra lingua,

mi saluta mio padre.

 

Non sarò molto cambiata negli anni,

al di là di una figlia,

la cui vita non riuscì a sussurrare.

 

Sotto il nastro dei clacson,

dal cristallo che abbozza un pentagramma,

il passato è un libro che comincia.

 

Chi l’avrebbe detto:

convocare due ricordi che non possono parlarsi

al mio tavolo per tre del pensiero.

 

Il viandante di fronte mi sorride,

nei suoi occhi sfilano memorie del futuro.

 

Mia figlia osserva, anche lei, dal finestrino.

In che mondo distante

si è seduta a evocarmi

mentre guarda i pini di un altro cielo

che trascorrono, pieni di otarde?

 

Siamo arrivati alla stazione. Svanisce

il colloquio famigliare. Niente è diverso.

 

Forse ciò che importa del paesaggio

è meritare un posto nella memoria

di qualcuno che ci ha amato

quando siamo assenti.

 

(Trad. Alessandra Callegari)

 

 

 

DUNAV SAVA

 

Pasan los pinos azules de Belgrado.

Desde su último invierno,

a través del ramaje de otra lengua,

me saluda mi padre.

 

No habré cambiado mucho en estos años,

más allá de una hija

cuya vida no acertó a murmurar.

 

Debajo del collar de las bocinas,

por el vidrio que esboza un pentagrama,

el ayer es un libro que comienza.

 

Quién dijera:

convocar dos recuerdos que no pueden hablarse

en mi mesa de tres del pensamiento.

 

El viajero de enfrente me sonríe,

por sus ojos desfilan memorias del futuro.

 

Mi hija observa, también, por la ventana.

En qué distante mundo

se ha sentado a evocarme

mientras mira los pinos de otro cielo

que transcurren,

copiosos de avutardas.

 

Hemos llegado a la estación. Se desvanece

el coloquio familiar. Nada es distinto.

 

Tal vez lo que importa del paisaje

es merecer un asiento en la memoria

de alguien que nos quiso

cuando estamos ausentes.

 

 

 

 STAZIONE DI CAPRANICA

 

Las ideas tienen sus paisajes

Juan Ramón Jiménez

 

La finestra si ferma su un graffito

Mi sposerai?

Il colore è sbiadito

dalla trama di piogge successive.

 

Che sarà del presente

di quel fuoco con midollo e ardore.

 

Il treno parte,

si spegne una domanda.

 

(Trad. Giovanni Gemito)

 

 

 

ESTACIÓN DE CAPRANICA

 

Las ideas tienen sus paisajes.

Juan Ramón Jiménez

 

La ventana se frena en un grafiti.

Mi sposerai?

La tinta está borrosa

por la trama de lluvias sucesivas.

 

Qué será del presente

de aquel fuego con médula y ardor.

 

El tren arranca,

se apaga una pregunta.

 

 

 

BOLLETTINO BIANCO

 

Di giorno, a lavoro,

nel felice rumore di un caffè

mentre per strada risuonano sonagli,

tacchi, collane, starnuti,

quasi nulla turba il cuore

o così sembra,

tutto scorre alla luce.

 

Ci sono uomini

che mi rubano il respiro

quando passano.

 

Li lascio indagare nel mio sguardo

quelle sporche parole

che mi scorrono pulite

sulla bocca.

 

E se rimango al buio col mio specchio

nel ditale vuoto di una stanza

non c’è nascondiglio,

non c’è ombelico né abbraccio

fior di metallo più profondo dell’essere lontani,

sapere che stai cambiando

senza che io ne sia testimone.

 

La stagione invecchia le sue corone.

 

Il pietroso gomitolo dei tuoi capelli

prova un passo di danza in corridoio,

quei equivoci gesti dell’iniziare a vestirmi

per rendere più lunga la via al desiderio

che mi lanci nelle crepe dell’oblio.

 

Il futuro non è un tempo

che ci può portare per mano

e nonostante ciò lo spirito si aggrappa

a chi lo fece tremare.

 

Sono cresciuta con te.

 

Siamo saltati assieme all’altro lato,

da dove non si ritorna.

 

(Trad. Raffaella Pagano)

 

 

 

BOLETIN BLANCO

 

De día, en el trabajo,

en el rumor feliz de una cafetería,

mientras suenan cascabeles en la calle,

tacones, collares, estornudos,

casi nada perturba el corazón

o eso parece,

todo marcha en la luz.

 

Hay hombres

que usurpan mi aliento

cuando pasan.

 

Los dejo indagar en mi mirada

esas sucias palabras

que me trepan tan limpias

por la boca.

 

Y si me quedo a oscuras con mi espejo

en el dedal vacío de mi cuarto

no hay guarida,

no hay ombligo ni abrazo

flor de metal más honda que estar lejos,

saber que vas cambiando

sin que yo sea testigo.

 

La estación envejece sus coronas.

 

El pedregoso ovillo de tu pelo

prueba un paso de danza en el pasillo,

esos gestos ambiguos de empezar a vestirme

para hacerte más largo transitar el deseo

que me arroje a la brecha

de otro olvido.

 

El futuro no es tiempo

que pueda llevarnos de la mano

y aun así el espíritu se aferra

a quien le dio de latir.

 

He crecido contigo.

 

Hemos saltado juntos a otro lado,

del que no se regresa.

 

 

 

ADDIO A UN PORTO

 

La luce che brilla a doppia intensità

dura la metà del tempo.

Blade Runner

 

Poso un occhio

nella serratura del cielo che sorge

disegna un’alba intangibile

il bisturi dell’insonnia.

 

Un corteo di anatre

accompagna le navi destinazione Procida.

L’andirivieni giallo delle torri normanne.

Il salnitro del porto.

Il rumore fitto delle auto.

Il sollievo di non essere indispensabile

perché tutto ciò accada.

 

Dicono che il tempo è una spazzola efficace

di chiome ribelli.

Che gli dei marciscono lentamente

nella storia dei riti personali.

Che le pagine restano.

 

Mi arrampico sul precipizio

dove rovesciarono a colpi la Repubblica

Evoco Eleonora Pimentel da Sant’Elmo

in un dialogo obliquo della tua storia e della mia.

 

Ci siamo detti parole di dormiveglia e di schiuma,

siamo stati due corpi distesi fuori tempo

truccando le rovine del dolore

con un dolore vigente.

 

Ogni pena è perfetta quando è pura.

 

Dico addio a un porto.

 

Il suo castello si eleva in un’isola vulcanica

di pietra tufacea e mosaici bizantini.

Fu prigione, residenza di duchi.

fabbrica di specchi e di cristalli.

 

Era un uomo che amavo.

 

(Trad. Annamaria Norvetto)

 

 

 

DESPEDIDA DE UN PUERTO

 

La luz que brilla con el doble de intensidad

dura la mitad del tiempo.

Blade Runner

 

Poso un ojo

en la cerradura del cielo que amanece,

pinta un alba intangible

el bisturí del insomnio.

 

Un cortejo de patos

escolta los navíos con destino a Procida.

El vaivén amarillo de las torres normandas.

El salitre del puerto.

El bullicio apretado de los coches.

El alivio de no ser indispensable

para que esto suceda.

 

Dicen que el tiempo es un cepillo eficaz

de cabelleras rebeldes.

Que los dioses se pudren

lentamente

en la historia de los ritos personales.

Que las páginas quedan.

 

Me trepo al precipicio

donde hundieron a golpes la República.

Evoco a Eleonora Pimentel desde Sant’Elmo

en un diálogo oblicuo

de tu historia y la mía.

 

Hemos dicho palabras de entresueño y espuma,

hemos sido dos cuerpos tendidos a deshoras

maquillando las ruinas del dolor

con un dolor vigente.

 

Toda pena es perfecta

cuando es pura.

 

Me despido de un puerto.

 

Su castillo se eleva

en una isla volcánica

de piedra tufacea y mosaicos bizantinos.

Fue cárcel, residencia de duques,

factoría de espejos y cristales.

 

Era un hombre que quise.

 

 

 

FRANCHI TIRATORI DI SARAJEVO

 

Perché non ce ne andiamo

in vacanza in Bosnia?

È stata la tua domanda

in questi anni.

 

Sfogliavi la rivista Bell’Europa

e vagavi per casa

con un quadro

del vecchio cimitero ebreo.

 

Sulla foto del negozio

che recita Cvjecara

i fiori sbocciano sulla roccia

attraverso i segni

del mortaio.

 

Si vendono delle orchidee

per gli innamorati

e per i morti, mi dicevi.

 

Perché non organizzare

un viaggio in Erzegovina

quest’estate?

 

Eri triste fuori tempo.

 

Ma allora

eri solo un ragazzo

di buona famiglia

che attraversava il confine

dei Balcani

per sdraiarsi sulle spiagge

senza bombe dell’Egeo.

 

Ma è facile essere lirici

con le tragedie altrui.

 

Pavoneggiarsi tra i simboli

con temi prestati

senza usare le ginocchia

come zampe di cane

per eludere i maquis

del Boulevard Selimovica.

 

Perché non andiamo a Mostar

anche solo per qualche giorno?

 

Io avevo tredici anni.

Il padre di un’amica

si svegliava attaccato

ad una radio europea

per sapere dell’assedio,

di suo fratello a Markale,

di quella Miss Universo

incoronata sottoterra.

 

Io ascoltavo i The Cult

nell’altra stanza.

 

La purezza non ferisce

quando il male non ci tocca.

Dopo Sarajevo

non è possibile guardare un bambino

senza bendarsi gli occhi.

 

Non hai più insistito.

La condurrai ora, per mano

all’ossario delle tortore

del quadro.

 

E ogni cosa è al suo posto,

amore,

non chiedermi scusa.

 

Io avrò altre montagne.

 

(Trad. Daniela Signorino)

 

 

 

FRANCOTIRADORES DE SARAJEVO

 

¿Por qué no vamos

de vacaciones a Bosnia?

Ha sido tu pregunta

de estos años.

 

Hojeabas la revista Bell’Europa

y andabas por la casa

con un cuadro

del antiguo cementerio judío.

 

En la foto de la tienda

que reza Cvjecara

las flores germinan en la roca

a través de los impactos

de mortero.

 

Hay orquídeas en venta,

para los amantes

y los muertos, me decías.

 

¿Por qué no organizar

un viaje a Herzegovina,

este verano?

 

Estabas triste a destiempo.

 

Por entonces

eras solo un muchacho

de familia opulenta

que franqueaba el confín

de los Balcanes

por tumbarse en las playas

sin bombas del Egeo.

 

Pero es fácil ser lírico

con la tragedia ajena.

 

Pavonearse entre los símbolos

con temas prestados

sin usar las rodillas

como patas de perro

por burlar a los maquis

del Bulevar Selimovica.

 

¿Por qué no vamos a Mostar,

aunque sea unos días?

 

Yo tenía trece años.

El padre de mi amiga

amanecía pegado

a una emisora europea

para oír del asedio,

de su hermano en Markale,

de esa Miss Universo

coronada en un sótano.

 

Yo escuchaba The Cult

en la otra sala.

 

La pureza no duele

cuando el mal no nos toca.

Después de Sarajevo

no es posible mirar una criatura

sin vendarse los ojos.

 

No volviste a insistir.

La llevarás, ahora, de la mano

al osario de tórtolas

del cuadro.

 

Y todo está en su sitio,

amor,

no te disculpes.

 

Yo tendré otras montañas.

 

También puedes leer